venerdì 25 marzo 2016

Siamo uomini o caporali? Non caschiamo nella trappola di chi ci vuole schiavi

I terroristi di Bruxelles? Li stanno acchiappando tutti (almeno così afferma chi comanda sui media). E con quanta celerità!

Ma, facciamo un’analisi facile facile, prevenire non è meglio che curare? Se La vostra risposta è sì, cominciate a chiedervi come si spiega che solo dopo innumerevoli morti e feriti gravi gli inquirenti sanno celermente dove mettere le mani, mentre per prevenire brancolano sempre nel buio (il "sempre" è d'obbligo, poiché il format dello sceneggiato è sempre lo stesso). Forse perché catturare terroristi prima di un attentato fa meno notizia dei morti delle bombe? Forse perché con la prevenzione si creerebbe un clima di troppa sicurezza nei Popoli da dominare e zittire con il terrore?

Chi è il vero regista occulto di queste mostruosità?

E non propinatemi ancora una volta la cantilena fritta e rifritta dell’Isis e del terrorismo islamico. Si cattura il braccio, ma la mente, la regia è libera di agire con altri “bracci” da sacrificare. Sarebbe come ritenere i capi clan le menti di camorra, mafia, ‘ndrangheta, etc, e non (quello che sono) semplici bracci esecutori di ordini provenienti da studi di regia ben più in alto, detentori di poteri enormi che nessun Popolo ha mai concesso ad alcuno. Bracci che fanno semplicemente il lavoro sporco, mentre i “cervelli”, che vestono Armani, mangiano caviale e bevono champagne vivendo in ville paradisiache comprate con il nostro sangue.

E’ vero: tutto questo non è una novità. Non scopro l’acqua calda, né l’uovo di Colombo. Le regie occulte dei poteri forti, che non si espongono e si nascondono dietro i loro burattini (nel nostro caso, i politici che ci governano con le loro menti sicuramente non eccelse), esistono da quando è nato il mondo. Solo che i tempi cambiano: siamo nel Terzo Millennio e la Storia ci ha lasciato molti insegnamenti e l'umanità ha vissuto innumerevoli corsi e ricorsi storici. 

Portatrici di riflessione sono le parole di Giulietto Chiesa nell’articolo che segue: “Sono bombe contro l’Europa dei Popoli, per renderla uno straccio subalterno al potere dell’Impero, per trascinarla in guerra tutta intera, terrorizzata, per mettere la museruola a tutti, anche ai recalcitranti. L’avviso è per tutti, non solo per Bruxelles. Chi è la mente non lo possiamo sapere. Ma una cosa che sappiamo è che i servizi segreti europei, tutti, chi più chi meno, sono filiali inquinate e di altri servizi segreti. Più probabilmente di settori, pezzi, frammenti incontrollabili di servizi segreti altrui. Ricordiamo il bellissimo e profetico film di Sydney Pollack, ‘I tre giorni del Condor’. Per questo non scoprono niente. E non scopriranno niente: perché non sono in condizioni di indagare. Per questo dobbiamo riprendere in mano la nostra sovranità, e cambiarli. Cambiando chi ci governa, e che sgoverna l’Europa, con altro personale, meno vile e più lungimirante. Altrimenti ci faranno arrostire, prima di renderci schiavi”.

Svegliamoci!

Nino Caliendo


Bruxelles al centro della strategia del terrore


Il nuovo massacro di Bruxelles, con azioni terroristiche tanto ben coordinate quanto sanguinose, cioè con bombe ad alto potenziale non con kamikaze suicidi, ha tutta l’aria di una “prosecuzione” di un piano. Di chi? Contro chi è diretto? Il sancta santorum che guida questa sarabanda non lo conosce nessuno, e dunque tutte le ipotesi sono ugualmente inattendibili. Quelle che subito vaneggiano di “risposta” di Daesh alla cattura dell’ultimo sopravvissuto del 13/11 a Parigi sono però palesemente ridicole. Un piccolo pregiudicato da tempo sotto controllo dei servizi segreti, ex tenutario di un centro di spaccio di droga e di prostitute come la bettola intitolata “La Beguine” nel quartiere di Molenbeek, che riesce a passare  indenne attraverso quattro controlli di polizia (francese) prima di rifugiarsi nello stesso quartiere in cui ha sempre vissuto, restandoci per quattro mesi, non poteva essere il “cervello” di niente. Questi attentati erano predisposti da tempo, da qualche centrale di provocazioni in grande stile. Contro chi?
Queste bombe sono la prosecuzione di quelle di Parigi del 2015: Charlie Hebdo e il Bataclan. Di Ankara, contro i turisti tedeschi. Sono la prosecuzione della messinscena di Colonia. Sono lo strascico del fiume di profughi. Andiamo con ordine: sono contro di Giulietto Chiesanoi. Contro “i popoli d’Europa”. Per ridurre le loro libertà residue e le loro capacità di risposta ai soprusi dei poteri. Infatti il primo risultato, scontato, sarà la sospensione di tutte le garanzie democratiche. È già in corso in Francia, ora sarà la volta del Belgio. Poi, dopo qualche altro attentato, magari in Italia, se per caso non volesse entrare in guerra in Libia, allora sarà la volta del nostro paese. Noi italiani siamo gli ultimi a poter essere ingannati, poiché abbiamo già vissuto la stessa cosa con la strategia della tensione. Questo ci dice che non dobbiamo cadere nella trappola di guardare il dito invece della Luna. Se ci dicono che è Daesh, diffidiamo. Probabilmente è “anche” Daesh. Ma Daesh è lo strumento, e la mano (in parte), ma non la mente. Sono bombe contro “l’Europa dei popoli”, per renderla uno straccio subalterno al potere dell’Impero, per trascinarla inguerra tutta intera, terrorizzata, per mettere la museruola a tutti, anche ai recalcitranti. L’avviso è per tutti non solo per Bruxelles.
Chi è la mente non lo possiamo sapere. Ma una cosa che sappiamo è che i servizi segreti europei, tutti, chi più chi meno, sono filiali inquinate e di altri servizi segreti. Più probabilmente di settori, pezzi, frammenti incontrollabili di servizi segreti altrui. Ricordiamo il bellissimo e profetico film di Sydney Pollack, “I tre giorni del Condor”. Per questo non scoprono niente. E non scopriranno niente: perché non sono in condizioni di indagare. Per questo dobbiamo riprendere in mano la nostra sovranità, e cambiarli. Cambiando chi ci governa, e che sgoverna l’Europa, con altro personale, meno vile e più lungimirante. Altrimenti ci faranno arrostire, prima di renderci schiavi.

Giulietto Chiesa, “Bruxelles, al centro della strategia del terrore”, da “Megachip” del 22 marzo 2016

Fonte: Web

Strage di Bruxelles, terrorismo surrealista: morti veri con immagini taroccate

I morti sono veri, il resto no: a cominciare dalle immagini dell’aeroporto devastato dall’esplosivo, che non è quello di Bruxelles ma quello di Mosca, immagini del 2011 spacciate per attuali da tutte le televisioni. Dopo Charlie Hebdo e la strage del Bataclan, per Roberto Quaglia stiamo ormai viaggiando verso il “terrorismo surrealista”, costruito con una narrazione “impazzita”, senza più alcun legame con la realtà. «Il capo dei servizi segreti ucraini tiene ad informarci che “non si stupirebbe” se dietro agli attentati di Bruxelles ci fosse la Russia», mentre il dittatore turco Ergogan, finanziatore dell’Isis attraverso il traffico di petrolio, si dichiara pronto ad aiutare Bruxelles a combattere il terrorismo, pochi giorni dopo avere dichiarato che «non ci sono motivi perché le bombe esplose ad Ankara non possano esplodere a Bruxelles». Non solo: «Per esclusive ragioni di alto surrealismo dobbiamo anche ricordare che in un’intervista a “Bel-Rrt” del 26 aprile 2013 a proposito dei jihadisti belgi il ministro degli esteri belga Didier Reynders aveva dichiarato: “Forse gli faremo un monumento come eroi di una rivoluzione”. Qualcuno dovrebbe ora chiedergli: quel momento è venuto?».
E il video dell’attentato di Mosca, “traslocato” a Bruxelles con un clamoroso “tarocco”? «Sorge il sospetto che a partire dai giornalisti della Cnn e scendendo giù giù fino ai nostri, senza consultare Facebook e YouTube ci sia una certa difficoltà a capire Le immagini di Mosca falsamente attribuite a Bruxellescosa accada nel mondo. Ma in verità in tali alte sfere giornalistiche un errore del genere non è soltanto colposo, bensì certamente doloso», scrive Quaglia su “Megachip”. «Non è certo la prima volta che la Cnn viene beccata a falsificare le notizie, quindi stupirsi ora o invocare l’errore sarebbe curioso». Ma ormai negli occhi e nella mente del pubblico ci sono le immagini false: «E lì rimarranno, il resto non importa». In un altro video, «un uomo sopravvissuto pare regga fra le mani un bambolotto piuttosto che un vero bambino. Nel Mondo Nuovo Surrealista non ci si può più interamente fidare neppure dei propri occhi». Inoltre, l’attentato di Bruxelles è ricco di pane per i denti dei teorici delle coincidenze: «Scopriamo infatti che una delle mancate vittime era già stata una mancata vittima a Parigi, al Bataclan, il 13 novembre 2015. Si tratta di tal Lahouani Ziahi, francese, che con tutti i posti che ci sono nel mondo ha avuto la sfiga di trovarsi per due volte esattamente là, dove i terroristi colpivano. E, naturalmente, anche la fortuna di rimanere illeso entrambe le volte».
Ancor meglio ha fatto il mormone Jason Wells, 19 anni, che prima di rimanere ferito a Bruxelles nell’esplosione all’aeroporto Zaventem, il 15 aprile 2013 si era trovato anche alla maratona di Boston a un isolato di distanza da dove esplose una bomba. Wells si trovava anche a Parigi il giorno dell’attentato al Bataclan: «Secondo il “Corriere” rimase ferito anche lì, secondo fonti più attendibili si trovava in altra parte della città, quindi il terzo miracolo al massimo vale solo a metà». D’altra parte, anche uno dei feriti sopravvissuti al Bataclan era una vittima recidiva, essendosi già stato presente a Manhattan l’11 Settembre: si trovava sotto la Torre Sud quando si schiantò il primo aereo. «Questa proliferazione di vittime recidive che balzano più o meno illese di strage in strage farebbe risuonare un campanello di allarme in qualsiasi persona razionale, ma nel Mondo Nuovo Surrealista ci pare tutto normale». Volendo osservare criticamente altri eventi americani come la strage di Sandy Hook o di San Bernardino, «scopriremmo di ritrovarci addirittura nel Paese delle Meraviglie di Alice». Ovvero: «Mentre nel mondo normale qualsiasi cosa succeda nove persone su dieci sfoderano il loro telefonino ed iniziano a filmare o a farsi i selfie che poi si riversano su Facebook Jason Wellse YouTube, nel Mondo Nuovo Surrealista i giovani rigorosamente dimenticano di comportarsi così, le app degli smartphone rigorosamente omettono di infestare i social network delle immagini scaraventate online in tempo reale».
Zero immagini da Bruxelles, come del resto anche da Parigi. «Subito dopo i fatti di Parigi, insospettito dal fatto che a parte poche eccezioni nessun giornalista “avvoltoio” intervistasse le centinaia di famigliari delle vittime, delle quali in buona percentuale nessuno neppure pubblicava le foto, provai a scoprire qualcosa di più su di loro cercandone i profili su Facebook». Prima sorpresa: «Una buona percentuale delle vittime, forse addirittura metà, non ce l’avevano. Questo, in un’epoca dove trovare un giovane che non sia su Facebook è quasi impossibile». L’80% delle vittime dell’11 Settembre, poi, non è neppure presente nell’Us Social Security Death Index. «Vittime che pare quasi non esistano, contrapposte a quasi-vittime che pare esistano anche troppo – come la studentessa 22enne Cordelia Bowdery, la quale della sua esperienza al Bataclan scrisse un breve post su Facebook, struggente, commovente, perfetto, così da manuale da parer scritto da un professionista (“a pensar male si fa peccato, ma…”) e che rapidamente totalizzò tre milioni di “likes” e quasi 800.000 condivisioni». Che dire: «Contrasti assurdi del Mondo Nuovo Surrealista, ove nulla è ciò che sembra».
Il Mondo Nuovo Surrealista, continua Quaglia, «è architettato in modo da mettere in stato permanente di dissonanza cognitiva i propri cittadini, poiché è noto in psicologia che chi è in stato di smarrimento e confusione, non potendo contare sul giudizio di se stesso, diviene molto più disposto a sottomettersi a quello dell’autorità». Tanto per cambiare, i presunti terroristi di Bruxelles sarebbero due fratelli, “i fratelli el-Bakraoui”. «Su questo canovaccio si butta anche unmedia russo, rivelando (falsamente) che gli attentatori suicidi sarebbero due fratelli bielorussi (i quali hanno prontamente contattato la stampa per chiedere come fanno ad essere ancora vivi dopo essersi fatti esplodere)». Per gli attentati di Parigi a novembre 2015 c’erano “i fratelli Abdeslam”. Per la strage di Charlie Hebdo “i fratelli Kouachi”. Per l’attentato di Boston “i fratelli Tsarnaev”. «Va bene che i film di Hollywood seguono sempre gli stessi canovacci, ma qui non dovremmo trovarci nel mondo reale?». Uno dei fratelli el-Bakraoui, peraltro, a L'arresto di Salah Abdeslamsentire Erdogan sarebbe stato arrestato in Turchia a giugno 2015, poi spedito in Belgio avvertendo le autorità belghe che avrebbe legami col terrorismo. Uno standard, ormai: gli attentatori “già noti alle forze di sicurezza”.
Cose simili sono state riferite anche per molti altri attentati, a partire da Londra nel luglio 2005: «Si alimenta il mito dell’inefficienza dei servizi di sicurezza creando così il pretesto per aumentarne i poteri». Intanto, nessuno viene mai punito per questi “errori” catastrofici. Al contrario: «Dopo l’11 Settembre, i vertici militari e di intelligence americani che avevano “fallito” nel prevenire gli attacchi, anziché licenziati vennero tutti promossi. I budget per la “sicurezza” vengono raddoppiati, triplicati. Esiste qualcuno che ancora abbia il cervello acceso? Qualcuno si ricorda cosa significhi “cui prodest”?». Come in un film di Hollywood, la strage di Bruxelles segue di pochi giorni un colpo di scena nel quale “i buoni” pareva avessero vinto: ecco infatti «l’improbabile, scenografica cattura del cattivissimo Salah Abdeslam, additato a “cervello” della strage di Parigi, esibito al pubblico con un sacco in testa come se ci dovessero proteggere dal suo sguardo letale, in grado di impietrirci come Medusa». E come in un film, proprio sul più bello, ecco il colpo di scena drammatico, la nuova strage. Canovaccio invariabile anche sull’identità dei killer: al posto del solito passaporto “dimenticato” sulla scena del crimine, stavolta «il kamikaze si autodenuncia lasciando il suo “testamento” su un computer gettato nella spazzatura. E a capire dove abitavano i terroristici è bastato chiedere al tassista».
Altra variazione di sceneggiatura: manca per ora la scoperta dell’esercitazione antiterrorismo, presente in tutti gli attentati terroristici precedenti, intenta a svolgersi nello stesso esatto momento e negli stessi luoghi dove poi per caso gli scenari immaginati divengono reali. Tuttavia, aggiunge Quaglia, abbiamo una grande esercitazione profetica di reazione a catastrofe a fine febbraio, con centinaia di partecipanti, a 400 metri dalla fermata del metrò di Maelbeek. «Praticamente, lo stesso posto dove ora c’è stato l’attentato». E quindi: «O chi ha fatto l’esercitazione sapeva che l’attentato sarebbe avvenuto lì, oppure i teorici delle coincidenze hanno messo a segno la lora ennesima vittoria consecutiva alla lotteria delle improbabilità». Poi, naturalmente, ci sono i “profeti”. Oltre a Erdogan, si fa notare il giornalista americano David Chase Taylor, caporedattore di “Truther.org” David Chase Taylor«autoesiliatosi in Svizzera». Con una settimana di anticipo, Taylor «ha previsto un attentato a Bruxelles fra il 16 e il 23 marzo». E c’è addirittura chi ha previsto un attentato nel giorno esatto, il 22 marzo 2016, anche se non in grado di specificare dove.
«Il fatto è che pare che il numero 322 (3/22 è il 22 marzo, per gli anglosassoni, che sono usi anteporre il mese al giorno) sia uno di quei numeri “speciali” ai quali certi circoli di potere riconoscerebbero un valore particolare». Cercando in rete, prosegue Quaglia, si scopre che sul 22 marzo, negli anni, è stato scritto di tutto e di più. Un po’ come il numero 11, un altro numero molto in voga in certi circoli e che ci ha regalato esperienze indimenticabili l’11 settembre 1973 (il golpe in Cile), l’11 settembre 2001 (Torri Gemelle), l’11 marzo 2004 (attentati alla stazione di Madrid), l’11 marzo 2011 (disastro di Fukushima). «Cosa ci regalerà stavolta il terrorismo surrealista? Una invasione Nato in Siria? Una fusione delle forze di sicurezza delle diverse nazioni europee? Ulteriori perdite di sovranità? Nuove leggi contro la libertà di stampa e di espressione? Di tutto un po’? Inutile avere fretta. Presto lo scopriremo. L’ex capo del Mossad in un’intervista a “Repubblica” suggerisce per noi un Patriot Act europeo. Accipicchia che sorpresa! Proprio quello che ci mancava».

lunedì 14 marzo 2016

Libertà di stampa? In Francia arrestano i cronisti che indagano sulle stragi dell'Isis

Prima il segreto di Stato (segreto militare) imposto su Charlie Hebdo, dopo che la magistratura francese aveva individuato l’ombra dei servizi segreti di Parigi nella triangolazione col Belgio per le armi slovacche messe a disposizione del commando, che sterminò la redazione del giornale satirico abbandonando però un passaporto sul cruscotto dell’auto utilizzata per la strage. E ora, cala il bavaglio delle autorità anche sull’attentato al Bataclan compiuto venerdì 13 novembre 2015, da più parti segnalato come “false flag” di matrice massonica, con tanto di “firma”: il primo infausto “venerdì 13” della storia fu quello dell’ottobre 1307, quando Filippo il Bello emanò l’ordine di arresto per i Templari, e un mese dopo – il 13 novembre – alcuni cavalieri (che poi contribuirono a fondare la massoneria) riuscirono a lasciare Parigi riparando in Scozia. Chi ha organizzato la strage si considera “erede” dei Cavalieri del Tempio, al di là del paravento dell’Isis? Oggi, nel mirino delle indagini indipendenti – che tanto preoccupano il governo Hollande – non c’è la Scozia, ma Israele. Lo ha scoperto un reporter come Hicham Hamza, arrestato e incriminato per “violazione del segreto istruttorio e diffusioni di immagini gravemente lesive della dignità umana”, quelle della mattanza nel teatro parigino.
Effettivamente, scrive Maurizio Blondet nel suo blog, il 15 dicembre Hamza aveva postato una foto ripresa all’interno del Bataclan pochi minuti dopo la strage: l’immagine mostrava l’orribile scena di decine di corpi smembrati. Il punto è che non è Manuel Vallsstato Hamza a scattare la foto, «subito scomparsa per ordine giudiziario». Una foto pericolosa, capace di rivelare dettagli scomodi? Il giornalista l’ha trovata su un tweet – il cui webmaster è situato a Gerusalemme – firmato “Israel News Feed”, “@IsraelHatzolah”.  «Ora, “IsraelHatzola” è praticamente la stessa cosa di United Hatzolah, una Ong israeliana di paramedici che collabora con l’esercito di Israele», spiega Blondet. «Il presidente di United Hatzolah è particolarmente interessante: trattasi di Mark Gerson, un ebreo americano che è stato direttore esecutivo del famos think-tank neocon “Project for a New American Century”», il famigerato Pnac, quello che “consigliava” a George W. Bush di lanciare un grande riarmo, per il quale però sarebbe stata necessaria “una nuova Pearl Harbor”. «L’11 Settembre, quando la nuova Pearl Harbor si verificò, membri importanti del Pnac erano nel governo Bush, e lanciarono le guerre l’invasione Mark Gersondell’Afghanistan e dell’Iraq».
Invece di indagare su questa pista, chiedendosi come mai un sito israeliano legato ai necon e al Mossad aveva le foto dell’interno del teatro, scattate pochi minuti dopo la strage, gli inquirenti francesi hanno perseguito Hamza. «Varie personalità politiche e giornalisti lo hanno querelato per diffamazione, contando di rovinarlo economicamente: sul suo sito, “Panamza”, il perseguitato chiede ai lettori 10 mila euro per pagare le spese legali». Che la persecuzione sia originata dal governo non c’è dubbio, continua Blondet: Gilles Clavreul, delegato interministeriale del premier Manuel Valls, addetto alla “lotta contro il razzismo e l’antisemitismo”, s’è lasciato sfuggire durante un’intervista radio di stare cercando  «egli inghippi giuridici per arrivare a perseguire» il giornalista. Hamza è colui che ha scoperto una quantità di indizi che consentono di interpretare l’attentato islamico del 13 novembre come un “false flag” con “segnatura” sionista. Una storia contraddistinta da parecchie “coincidenze”, a cominciare dalle date: l’11 settembre (ancora), cioè due mesi prima della strage, la famiglia Toutou aveva venduto il Bataclan, per poi trasferirsi definitivamente in Israele.
«I responsabili della sicurezza della comunità ebraica erano stati avvertiti in anticipo dell’imminenza di un grosso attacco terroristico», secondo il “Times” di Israele, «che poi ha censurato la notizia». Da chi? «Dal banchiere barone Edmund De Rotschild, nientemeno». Il 13 novembre, giorno dell’attentato, era inoltre in corso un’immancabile esercitazione “antiterrorismo” programmata mesi prima dal Samu, il pronto soccorso municipale di Parigi, basata sullo scenario di tre attentati simultanei compiuti da tre gruppi di terroristi, che prevedeva 50 morti e 150 feriti. E ancora: la rivendicazione con cui Daesh si attribuiva gli attentati è stata diffusa dal “Site” di Rita Katz, l’ex collaboratrice del Mossad che ora opera dagli Stati Uniti. Secondo “France Télévision”, poi, i decreti per lo stato d’emergenza sarebbero stati adottati già prima dell’attentato al "On te fume"Bataclàn, alle 22.30, quando François Hollande uscì dallo Stade de France dove assisteva alla partita Francia-Germania: fuori dallo stadio, tre kamikaze si erano fatti saltare in aria con le cinture esplosive, uccidendo solo se stessi.
«La strage del Bataclan non era ancora avvenuta, ma la bozza del decreto era pronta da tempo», scrive Blondet citando Hamza. Lo ha rivelato lo stesso funzionario, direttore degli affari giuridici del ministero dell’interno, che ha stilato il documento. Si chiama Thomas Andreu, «legato alla comunità ebraica e a Israele attraverso la moglie, Marguerite Bérard, cognata di Marie-Hélène Bérard, tesoriera della Camera di Commercio Francia-Israele e membro del direttivo del Crif, Conseil Représentatif des Institutions Juives de France». Per la mattanza – 90 morti – è finito nei guai anche Jesse Hughes, il cantante degli Eagles of Death Metal, il complesso che si esibiva al Bataclàn, davanti a 1500 spettatori: in una intervista rilasciata a “Fox Business Network” quattro mesi dopo, Hughes ha rivelato che quella sera aveva scoperto che ben sei uomini addetti alla sicurezza del palco erano inspiegabilmente assenti. Poco dopo ha ricevuto minacce di morte: un’immagine con una mitraglietta Uzi sulla bandiera israeliera e la scritta “on te fume”, ti eliminiamo.
Per dare un’idea «del clima che Hollande sta facendo imporre nella ex patria della libertà di opinione», Blondet segnala anche il caso del professore di storia Pascal Geneste, duramente attaccato per aver difeso Putin come «uno dei precursori della lotta al terrorismo islamico, come dimostra l’intervento russo in Siria contro l’Isis». Geneste è stato convocato in gendarmeria e sottoposto a interrogatorio. E il 17 febbraio, 6 dei suoi allievi sono stati convocati in gendarmeria dove hanno subito un analogo interrogatorio sulla lezione pro-Putin. A premere sulla censura – anche sul web – è sempre il Crif, la rappresentanza franco-israeliana, che chiede che anche a Internet si applichi lo stato d’emergenza varato da Valls dopo l’eccidio del Bataclan, con poteri speciali allo Stato per frugare appartamenti, intercettare telefonate, ridurre le libertà personali. In realtà, il decreto contiene già misure repressive applicabili alla Rete: «Lo Stato può bloccare l’accesso a determinati siti, vietare a una persona tutte le comunicazioni via web, copiare tutti i dati trovati su terminali, smartphone e computer durante un’irruzione di polizia, compresi quelli sul cloud. Ma al Crif non basta: vuole siano punti e censurati i “messaggi di odio”», magari interpretando come tali anche le inquietanti rivelazioni di Hamza sul presunto ruolo del Mossad nella strage del 13 novembre.
Tratto da: Idee Libre

sabato 5 marzo 2016

I poveri sono bestie! Lo afferma il nababbo Eugenio Scalfari

I tempi attuali hanno questo di particolare: dovremo viverli sino in fondo e berne la coppa sino alla feccia. Uno dei maestri residui del pensiero italiano (un altro, celebratissimo, è crepato recentemente), il nababbo Eugenio Scalfari, nei giorni scorsi se ne è uscito con tale argomentazione: i poveri soddisfano esclusivamente i loro istinti e voglie primari; non ne hanno di secondari: la ricerca di Dio, ad esempio; collezionare ceramiche Ming; leggere trattati di socialisti tedeschi dell’Ottocento; scrivere per il teatro; occuparsi di lirica et cetera. Il loro mondo (il mondo deipoveri) è chiuso, basico, animale. I poveri, ne consegue, dei bruti. Ovviamente Scalfari ha ragione. Tutta la mia famiglia, ad esempio, in particolar modo i miei ascendenti diretti (nonni materni e paterni), son lì a confermare le sue tesi. Aggiungo di più. I poveri, quelli veri, quelli che ben presto popoleranno la nazione, sono pure brutti, sporchi e cattivi.
Brutti poiché le privazioni imbruttiscono; e un lavoro non intellettuale (lavoro intellettuale: scrivere articoli da quattro soldi con l’aria condizionata, i piedi sul tavolo e le sfogliatelle alla propria destra, ad esempio) non regala tempo per curarsi la barba come un orticello (altro esempio). In quanto brutti i poveri attirano altri brutti: ne nascono, a meno di un terno secco cromosomico, figli brutti. I poveri sono sporchi, poi, perché quando si è brutti, con un lavoro di merda, e la mattina ci si sveglia con una donna laida, grassa e sboccata al fianco (è un esempio pure questo) si va indepressione, e, in depressione, come tutti sanno, non si ha mica voglia di farsi la doccia, profumarsi con essenze che nemmeno si è in grado di comprare o tagliarsi i baffi in maniera cool. Va da sè che un tizio che è brutto, con una moglie brutta, e figli brutti, senza una lira, con un lavoromerdoso e le ascelle che gli puzzano, si incattivisca ogni giorno che passa.
Queste mie considerazioni sembrano facili e posticce, ma non è così: si basano su una osservazione costante, empirica, trentennale, degli Italiani. Quando dico che i poveri sono brutti intendo proprio questo: che esiste una relazione diretta, scientifica, causale, fra la mancanza di pecunia e le fattezze umane (le gambe delle donne: basta osservare le gambe delle nostre nonne e le gambe delle loro nipoti; la bellezza delle gambe delle donne è questione di censo. Le belle nipoti però non hanno da illudersi: le gambe delle loro figlie torneranno presto a incurvarsi). Ed esiste una relazione diretta tra povertà e moralità umana (sempre dei poveri: ignoranti, zotici e maleducati). Insomma Scalfari ha ragione: i poveri sono bestie. Tuttavia oserei rivolgergli una domanda: com’è che i nababbi suoi pari (De Benedetti, Tronchetti Provera, Montezemolo, gli Agnelli et cetera) e tutti gli intellettuali che secolui intrattengono altissimi discorsi e pensose meditazioni (con una ruga sulla fronte), e tutti i dotti che ha il privilegio di interrogare con quesiti celesti sulla vita e sulla morte (vescovi illuminati, rabbini illuminatissimi, premi Nobel) – insomma tutta la sceltissima pletora di menti eccelse che i bisogni primari non sanno mancoLapo Elkann e Montezemolocosa siano, e vantano, invece, bisogni secondari, terziari, quaternari… come mai tutti questi eletti sono, alla fine della fiera, delle micidiali nullità?
È una semplice domanda, non altro. Insomma, ragazzi miei, se l’Italia è in declino da trent’anni almeno, tanto che la sua classe media è ormai in putrefazione culturale, a chi addebitare la colpa? Non ai poveri, che pensano solo a magnà’, a beve e a scopà’ (i bisogni primari). Cos’ha dato alla nazione De Benedetti? E Montezemolo? E il cardinal Martini, a ben pensarci, cosa ha fatto per impedire l’agonia dell’Italia? Hanno mai detto qualcosa, questi venerati maestri un tanto al chilo, contro la trasformazione d’un paese geniale e bello in un mattatoio sociale (son solo tre esempi, potrei continuare per decine di pagine)? Sorgono altre domande. Se i poveri sono come porci in calore, il cui unico scopo è guazzare nel tiepido brago della propria limitatezza, quali bisogni secondari aveva uno come Lapo Elkann? Privo di vere urgenze (proprie ai brutti, sporchi e cattivi), in realtà cosa cercava? Son curiosità. Che fanno sorgere altre curiosità. Esempio: cos’ha dato alla nazione Eugenio Scalfari? Come si son inverati i suoi bisogni secondari, terziari? Mentre è sprofondato sui velluti della redazione di Repubblica meditando le superne cose de l’etternal gloria, insomma, che gli passa per la capoccia? Lui che è una delle punte più acuminate del genio nazionale. Che gli passa per la testa a queste flebili increspature della storia della mediocrità, a parte tali sbocchi di boria suprematista, dopo decenni e decenni di chiacchiere, pontificazioni, giri di valzer, tradimenti? Quale debito vantano verso la comunità e il nostro futuro questi tronfi massoni del nulla?

“I poveri sono bestie, parola di Eugenio Scalfari”, pubblicato da “Alceste” su “Pauperclass” il 23 febbraio 2016

martedì 1 marzo 2016

Il testamento di Umberto Eco: meglio morire se il mondo è una truffa

Recentemente un discepolo pensoso (tale Critone) mi ha chiesto: Maestro, come si può bene appressarsi alla morte? Ho risposto che l’unico modo di prepararsi alla morte è convincersi che tutti gli altri siano dei coglioni. Allo stupore di Critone ho chiarito. Vedi, gli ho detto, come puoi appressarti alla morte, anche se sei credente, se pensi che mentre tu muori giovani desiderabilissimidi di ambo i sessi danzano in discoteca divertendosi oltre misura, illuminati scienziati violano gli ultimi misteri del cosmo, politici incorruttibili stanno creando una società migliore, giornali e televisioni sono intesi solo a dare notizie rilevanti, imprenditori responsabili si preoccupano che i loro prodotti non degradino l’ambiente e si ingegnano a restaurare una natura fatta di ruscelli potabili, declivi boscosi, cieli tersi e sereni protetti da un provvido ozono, nuvole soffici che stillano di nuovo piogge dolcissime? Il pensiero che, mentre tutte queste cose meravigliose accadono, tu te ne vai, sarebbe insopportabile.
Ma cerca soltanto di pensare che, al momento in cui avverti che stai lasciando questa valle, tu abbia la certezza immarcescibile che il mondo (sei miliardi di esseri umani) sia pieno di coglioni, che coglioni siano quelli che stanno danzando in discoteca, Umberto Ecocoglioni gli scienziati che credono di aver risolto i misteri del cosmo, coglioni i politici che propongono la panacea per i nostri mali, coglioni coloro che riempiono pagine e pagine di insulsi pettegolezzi marginali, coglioni i produttori suicidi che distruggono il pianeta. Non saresti in quel momento felice, sollevato, soddisfatto di abbandonare questa valle di coglioni?
Critone mi ha allora domandato: Maestro, ma quando devo incominciare a pensare così? Gli ho risposto che non lo si deve fare molto presto, perchè qualcuno che a venti o anche trent’anni pensa che tutti siano dei coglioni è un coglione e non raggiungerà mai la saggezza. Bisogna incominciare pensando che tutti gli altri siano migliori di noi, poi evolvere poco a poco, avere i primi dubbi verso i quaranta, iniziare la revisione tra i cinquanta e i sessanta, e raggiungere la certezza mentre si marcia verso i cento, ma pronti a chiudere in pari non appena giunga il telegramma di convocazione. Convincersi che tutti gli altri che ci stanno attorno (sei miliardi) sino coglioni, è effetto di un’arte sottile e accorta, non è disposizione del primo Cebete con l’anellino all’orecchio (o al naso). Richiede studio e fatica. Non bisogna accelerare i tempi. Bisogna arrivarci dolcemente, giusto in tempo per morire serenamente. Ma il igorno prima occorre ancora pensare che qualcuno, che amiamo e ammiriamo, proprio coglione non sia. La saggezza consiste nel riconoscere proprio al momento giusto (non prima) che era coglione anche lui. Solo allora si può morire.
Quindi la grande arte consiste nello studiare poco per volta il pensiero universale, scrutare le vicende del costume, monitorare giorno per giorno i mass-media, le affermazioni degli artisti sicuri di sè, gli apoftegmi dei politici a ruota libera, i filosofemi dei critici apocalittici, gli aforismi degli eroi carismatici, studiando le teorie, le proposte, gli appelli, le immagini, le apparizioni. Solo allora, alla fine, avrai la travoltenge rivelazione che tutti sono coglioni. A quel punto sarai pronto all’incontro con la morte. Sino alla fine dovrai resistere a questa insostenibile rivelazione, ti ostinerai a pensare che qualcuno dica cose sensate, che quel libro sia migliore di altri, che quel capopopolo voglia davvero il bene comune. E’ naturale, è umano, è proprio della nostra specie rifiutare la persuasione che gli altri siano tutti indistintamente coglioni, altrimenti perchè varrebbe la pena di vivere? Ma quando, alla fine, saprai, avrai compreso perchè vale la pena (anzi, è splendido) morire. Critone mi ha allora detto: Maestro, non vorrei prendere decisioni precipitose, ma nutro il sospetto che Lei sia un coglione. Vedi, gli ho detto, sei già sulla buona strada.

Umberto Eco, “Importante lezione per Critone”, dalla rubrica “La bustina di Minerva” su “L’Espresso” del 12 giugno 1997, ripreso da “Viewfromwesthill” il 14 giugno 2007