mercoledì 6 gennaio 2016

Cucchi. Morte della democrazia: violenza di Stato contro chi ha in custodia

Una querela infondata nei confronti di Ilaria Cucchi per aver postato una foto già pubblica!


Ma di cosa stiamo parlando? Di una foto già pubblica, fritta e rifritta, da Ilaria semplicemente ripubblicata o di un ragazzo massacrato? Perché non facciamo la graduatoria di cosa è più atroce e grave?
A questo link un articolo pubblicato dal Corriere della Sera nella Cronaca di Roma che riporta documenti e dichiarazioni della ex moglie del carabiniere "vittima" di Ilaria Cucchi:
Com'è che non mi risultano querele né semplici smentite per queste dichiarazioni ben più gravidella pubblicazione di una foto già pubblica? Lo scopo è perseguitare Ilaria per impaurirla e farla recedere dalla sua lotta nella ricerca finalmente della verità e della giusta condanna per i colpevoli della morte di Stefano?
La foto postata da Ilaria non è uno scatto rubato in violazione della privacy del soggetto ritratto, ma è stata addirittura postata dallo stesso soggetto sui social network, da dove Ilaria l’ha recuperata come avrebbe potuto fare chiunque altro. In questo contesto, quale fondamento si può riconoscere ad una querela che, a conti fatti, forse ha solo méro e goffo scopo pubblicitario di vittimizzazione per conquistarsi le simpatie della pubblica opinione nella criminalizzazione di Ilaria?
Con te Ilaria, senza se e senza ma!
Nino Caliendo


 Cucchi, l’inchiesta bis tira in ballo i carabinieri


Indagato un maresciallo dei carabinieri e altri due militari nel mirino dell’inchiesta bis. Dal processo d’appello l’esortazione dei giudici a indagare meglio sull’Arma



Omicidio Cucchi, spuntano i carabinieri tirati fuori, all’epoca dei fatti, dal gioco di squadra tra la Procura, molto legata all’Arma, e l’allora ministro della difesa La Russa. Ora tre carabinieri sono sotto inchiesta a quasi sei anni dalla morte del ragazzo di 26 anni. Tra loro, l’ex vicecomandante della stazione di Tor Sapienza dove Cucchi fu portato la notte dell’arresto (il 15 ottobre 2009), indagato per falsa testimonianza. Si tratta del maresciallo Roberto Mandolini la cui deposizione al processo d’appello contro medici e agenti della polizia penitenziaria è risultata in conflitto con i fatti accertati dai pm. Per altri due militari potrebbe verificarsi presto l’iscrizione al registro degli indagati per lesioni colpose: le percosse inflitte al ragazzo.
Secondo i risultati del controverso processo, Cucchi fu malmenato più volte dal momento dell’arresto fino alla detenzione in carcere. Nella motivazione di 67 pagine il presidente Mario Lucio D’Andria, il giudice a latere Agatella Giuffrida insieme con i componenti della giuria popolare avevano sottolineato che «le lesioni subite da Cucchi sono necessariamente collegate ad un’azione di percosse e comunque da un’azione volontaria che può essere consistita anche in una semplice spinta che abbia provocato la caduta a terra con l’impatto sia del coccige, sia della testa contro una parete o contro il pavimento». Sempre per quanto riguarda le lesioni provocate a Cucchi la Corte sottolineava che «non può essere definita un’astratta congiuntura l’ipotesi emersa in primo grado secondo la quale l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che hanno avuto in custodia Cucchi nella fase successiva alla perquisizione domiciliare» e ciò perchè l’ipotesi si fonda su concrete circostanze testimoniali dalle quali emerge che «già prima di arrivare in Tribunale Cucchi presentava segni e disturbi che facevano pensare ad un fatto traumatico avvenuto nel corso della notte».
L’inchiesta a molti sembrò strabica concentrandosi solo sulla polizia penitenziaria e i medici del “repartino” del Pertini che ebbero in custodia Cucchi durante la detenzione. Più volte anche il Dap rilasciò comunicati che avvertivano della necessità di andare a controllare altre amministrazioni coinvolte nella vicenda. A porre un diktat sulla Benemerita fu La Russa in persona: «il Ministro della Difesa aveva rivendicato la correttezza del comportamento dei Carabinieri – scrive la sentenza di primo grado – inoltre vi erano state dichiarazioni di parlamentari appartenenti a diversi schieramenti politici, il tutto veicolato da Radio Radicale, (emittente nazionale), con la trasmissione “Radio Carcere”, molto popolare tra i detenuti». E poi ci sono i “pasticci” delle carte che accompagnano il detenuto all’udienza di convalida, da cui risultava essere un albanese più anziano e senza fissa dimora così da precludergli i domiciliari. Oppure il “giallo” dell’avvocato: Cucchi ne aveva nominato uno ma l’Arma non l’ha cercato. E le dichiarazioni dei militari cozzano spesso tra loro (leggi l’articolo)
Comincia a dare frutti, così pare, l’inchiesta bis della Procura di Roma disposta dopo l’assoluzione in corte d’appello di medici e secondini. Il vice comandante di Tor Sapienza sarebbe caduto in contraddizione sulla propria partecipazione alle perquisizioni domiciliari eseguite nei confronti di Cucchi. Non sarebbe stato convincente sul mancato fotosegnalamento. Perché non fu fatto? E perché gli altri due carabinieri operarono in borghese e non risulterebbero ufficialmente fra gli esecutori dell’arresto? Mandolini, il maresciallo, disse: «Il signor Cucchi mi disse che non gradiva sporcarsi con l’inchiostro per gli accertamenti dattiloscopici (impronte, ndr) e fotosegnaletici. Dopo questa sua richiesta non ho ritenuto necessario farlo, visto che era una persona tossicodipendente, non l’ho voluto sforzare a fargli questa identificazione e non gli feci fare questi rilievi».

di Checchino Antonini da Popoff Quotidiano




Dalla cronaca di Roma del Corriere della Sera

«Così mio marito si vantò dopo il pestaggio di Cucchi»


Parla l’ex moglie del carabiniere indagato: «Testimonierò, ma ho paura. Lui mi parlò del pestaggio quando l’inchiesta prese una strada diversa»


LEGGI L'ARTICOLO

di Ilaria Sacchettoni

venerdì 1 gennaio 2016

Per risparmiare sulle pensioni, a farci morire prima ci pensa Renzi

La guerra in casa, contro la propria popolazione. Il programma “dovete morire” messo in campo dall’Unione Europea (e non solo) va avanti alla grande. I nostri lettori ricorderanno come più volte abbiamo sintetizzato con questo slogan – “dovete morire prima” – diversi provvedimenti del governo che tagliavano bilanci della sanità, prestazioni mediche e sociali (ultimo esempio le 208 prestazioni diagnostiche dichiarate “inappropriate” dalla scienziata senza laurea che dirige il relativo ministero), pensioni, allungamento dell’età lavorativa, ecc. Il ragionamento che proponevamo era semplice, quantitativo, ma inoppugnabile: se si va ad intaccare i livelli di welfaree i diritti del lavoratore conquistati nel dopoguerra si diminuisce immediatamente, e ancor più nel corso degli anni, l’aspettativa di vita della popolazione. Ed ecco che le statistiche ufficiali arrivano a confermare la facile previsione. Diciamo che siamo rimasti colpiti anche noi dalla rapidità con cui quello che era solo un ragionamento si è andato trasformando in realtà. Macabra.
L’Istat, pochi giorni fa, ha reso noti i dati sul bilancio demografico relativo ai primi otto mesi del 2015. E il primo numero che balza letteralmente alla gola è quello dei morti, in drastico aumento: +45.000 rispetto allo stesso periodo del 2014, con un coccodrillotendenziale annuale che arriva a +68.000; 666mila morti nel 2015 contro i 598mila dello scorso anno. Un aumento dell’11,3% che trova analogie solo con gli anni della guerra. Della guerra sul nostro territorio, per esser chiari. I dati non sono ancora disaggregati (per età, posizione sociale, cause, ecc), ma si sa già che l’aumento riguarda soprattutto la componente femminile (+41.000), presumibilmente nella fasce più anziane. Le altre cause di morte di cui si hanno le statistiche (incidenti stradali o sul lavoro) presentano variazioni minime, ben lontane da quelle riguardanti l’intera popolazione.
Sulle cause, in attesa di dati più articolati, ci si può sbizzarrire. È colpa della diminuita protezione del sistema sanitario pubblico (quindi dei tagli alla spesa in questo settore) oppure della diminuzione generale di reddito e in specifico del blocco delle pensioni? Detto altrimenti: si muore di più perché non vengono più garantite una serie di prestazioni o perché non ce la fai a pagare il ticket (aumentato) sui medicinali che dovresti assumere? Una domanda quasi superflua. In entrambi i casi si torna infatti alle politiche di austerità volute, nell’ordine, dalla Troika (Ue, Bce, Fmi) e dai governi nazionali. Il dato fondamentale da tener presente è infatti l’improvviso aumento della mortalità. Come spiega il professor Gian Carlo Blanciardo, demografo di Neodemos, questo aumento non può essere attribuito all’invecchiamento della popolazione: «Osservando come è cambiata la composizione per età dei residenti tra il 1° gennaio del 2014 e alla stessa data del 2015 scopriamo subito che, a fronte di 159mila unità in meno nella fascia d’età fino a 60anni, se ne contano in più 70mila in età tra 61 e 70 anni, 40mila tra 71 e 85 anni e 62 mila con oltre 85 anni».
«Lo spostamento verso le età più “mature” è ben evidente, ma è sufficiente a spiegare un aumento della mortalità nell’ordine dei 68mila casi annui di cui si è detto? La risposta è no. Le modifiche nella struttura della popolazione spiegano solo in minima parte la maggior frequenza di decessi. Infatti, se i rischi di morte fossero restati invariati rispetto a quelli osservati di recente (Istat 2014), l’aumento del numero di persone anziane avrebbe dato luogo solo a 16mila decessi in più rispetto al 2014. E le altre 52mila unità aggiuntive a cosa sono dovute?». Inevitabilmente – in assenza di pandemie e altre catastrofi del genere – bisogna pensare ai cambiamenti nella struttura dei redditi, nella loro distribuzione, nella riduzione delle prestazioni delNuovi poveriwelfare. Come conclude lo stasso Bianciardo, una variazione così forte «è un evento “straordinario” che richiama alla memoria l’aumento della mortalità nei paesi dell’Est Europa nel passaggio dal comunismo all’economia di mercato: un “déjà vu” che non vorremmo certo rivivere».
«Il controllo della spesa sanitaria sempre e a qualunque costo – in un momento di recessione economica – può avere effetti molto pesanti sul già fragile sistema demografico. Dobbiamo esserne consapevoli». Il problema è che “la politica” – Troika e governo – ne è perfettamente consapevole. Questo è proprio quello che vanno cercando per ridurre drasticamente la spesa pubblica, le cui due voci di spesa più consistenti sono per l’appunto sanità e pensioni (la terza è la scuola, e anche lì la “mortalità” educativa va crescendo a passo di carica). Quale taglio può essere più efficace dell’annientamento di una quota rilevante dell’utenza sociale?
Dante Barontini, “Il programma Dovete Morire Prima sta avendo successo”, da “Contropiano” del 24 dicembre 2015