domenica 25 ottobre 2015

Cancro male incurabile? Il business infinito della chemioterapia

Da decenni, il cancro viene inutilmente fronteggiato con la chemioterapia: l’oncologia ospedaliera non guarisce quasi nessuno, e i tumori stanno aumentando in modo esponenziale. In parallelo, c’è il boom delle cure alternative: in questo settore si registrano guarigioni in costante aumento, ma i numeri sono ancora limitati e comunque esclusi dall’ufficialità. Ovvio, sottolineano gli “alternativi”: per il sistema è pericoloso far sapere che si può guarire anche solo con erbe, biofarmaci e dieta, cioè con quattro soldi, mentre il sistema ospedaliero (chemio e radio) costa una follia, oltre a non salvare nessuno. Di recente, Paolo Barnard ha acceso una contro-polemica, accusando di slealtà gli “alternativi” che speculerebbero sull’altrui dolore, contrabbandando soluzioni miracolose quanto irrealistiche. La riprova? I potenti della terra, a partire dal boss della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ricorrono alla chemio. «In realtà – replica a distanza Paolo Franceschetti, autore di un sito sulle cure alternative esistenti – i super-potenti sono i primi a ricorrere a metodi alternativi: lo stesso Berlusconi ha evitato la chemio ed è guarito grazie alla terapia Di Bella».
«Se sei un americano, hai una possibilità su tre di avere un cancro nel corso della tua vita», scrive Michael Snyder in un post ripreso dal blog di Maurizio Blondet. «Praticamente chiunque in America conosce qualcuno che ha il cancro o che ne è già morto». Eppure, negli anni ‘40, a sviluppare il cancro era solo un americano su 16. «Deve essere accaduto qualcosa che ha provocato questa crescita esplosiva, e che induce a ritenere che il cancro sorpasserà presto le cardiopatie diventando la prima causa di morte». Secondo l’Oms, ogni anno vengono diagnosticati 14 milioni di nuovi casi nel mondo, ed è atteso un incremento del 70% nei prossimi due decenni. «Esistono davvero poche parole capaci di fare tanta paura come la parola “cancro”, e nonostante i miliardi spesi nella ricerca e nel suo progresso tecnologico, questa piaga continua ad allargarsi e a mietere vittime. Come è possibile?». Sconcertante la débacle statistica della disciplina oncologica: a differenza di ogni altro settore della medicina, questa non riesce praticamente mai a curare efficacemente i pazienti, a cui peraltro non sa diagnosticare le cause dell’insorgenza patologica (cosa che invece fa la medicina olistica, basata anche sull’analisi dell’alimentazione).
In compenso, il business del cancro va a gonfie vele: oggi, continua Snyder, in America si spende più denaro per trattare il cancro che qualunque altra malattia. Secondo la “Nbc”, solo lo scorso anno si è trattato di 100 miliardi di dollari in farmaci anti-cancro, tutti largamente inefficaci: «Mentre i prezzi delle medicine continuano a scendere costantemente, la spesa per le medicine contro i tumori hanno raggiunto un nuovo traguardo: 100 miliardi di dollari nel 2014». Un incremento di 75 miliardi di dollari in cinque anni, secondo un’indagine dell’Ims Institute for Healthcare Informatics. Cento milioni di dollari sarebbero già una cifra pazzesca, osserva Snyder, ma 100 miliardi sono mille volte quella cifra. «Non mi pare ci sia bisogno di dire che ci sono un sacco di persone, là fuori, che stanno diventando smisuratamente ricche grazie a questi trattamenti. E il costo di alcuni di essi è semplicemente assurdo. Sempre secondo la “Nbc”, due dei farmaci commercializzati più recentemente costano 12.500 dollari per un mese di terapia». Farmaci, peraltro, non risolutivi: poco più di metà dei pazienti può sperare di sopravvivere per 5 anni al massimo.
«Viviamo in una società estremamente tossica, e che lo diventa ogni giorno di più», scrive Snyder. «E una volta che hai sviluppato il cancro, ai dottori non è permesso prescrivere trattamenti “alternativi”. Quello che possono fare è prescriverti terapie che il sistema gli dice di prescriverti». Idem in Italia: i sanitari devono attenersi al protocollo standar, quello che non guarisce quasi mai nessuno e si basa, ad esempio, sulla chemio. «E’ una terapia mostruosa, che spesso uccide il paziente invece di uccidere il tumore», continua Snyder. «Molti pazienti vivono un ciclo infernale dopo l’altro, sperando che possa essere risolutivo. Avete mai parlato con qualcuno che ha vissuto questo calvario? E’ straziante». Dice il dottor Ralph Moss, autore del libro “L’industria del cancro”: «Non c’è alcuna prova che la chemioterapia prolunghi la sopravvivenza nella gran parte dei casi. E questa è la grande bugia sulla chemioterapia, che ci sia in qualche modo una correlazione tra la riduzione del tumore e l’allungamento della vita di un paziente». Allora perché gli oncologi spingono tanto per la chemio?
Secondo le analisi di Steven Levitt e Stephen Dubner, quelli di “Freakanomics”, «gli oncologi sono tra i medici più pagati, la media dei loro redditi cresce più di quella di qualsiasi altro specialista, e più della metà dei loro guadagni proviene dalla vendita e somministrazione della chemioterapia». Il loro modello di business «è differente da quello degli altri medici», scrive Snyder, «perché non è che tu puoi andare a comprarti la chemioterapia in farmacia». Negli Usa, «gli oncologi la comprano all’ingrosso, poi gonfiano il prezzo e mettono in conto alle compagnie di assicurazione». Questo profitto legalizzato sui farmaci contro il cancro è un caso unico, negli Stati Uniti. «Fanno soldi sulle terapie che dicono ti salveranno la vita. E’ un conflitto di interessi gigantesco. Ti vendono le terapie, e ti fanno pagare il privilegio di iniettartele. Non lo fa nessun altro medico». Il nostro sistema è profondamente guasto e corrotto, conclude Snyder. «Ma non cambierà niente nell’immediato futuro, perché grazie ad esso si guadagnano centinaia di miliardi di dollari».
Da decenni, il cancro viene inutilmente fronteggiato con la chemioterapia: l’oncologia ospedaliera non guarisce quasi nessuno, e i tumori stanno aumentando in modo esponenziale. In parallelo, c’è il boom delle cure alternative: in questo settore si registrano guarigioni in costante aumento, ma i numeri sono ancora limitati e comunque esclusi dall’ufficialità. Ovvio, sottolineano gli “alternativi”: per il sistema è pericoloso far sapere che si può guarire anche solo con erbe, biofarmaci e dieta, cioè con quattro soldi, mentre il sistema ospedaliero (chemio e radio) costa una follia, oltre a non salvare nessuno. Di recente, Paolo Barnard ha acceso una contro-polemica, accusando di slealtà gli “alternativi” che speculerebbero sull’altrui dolore, contrabbandando soluzioni miracolose quanto irrealistiche. La riprova? I potenti della terra, a partire dal boss della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ricorrono alla chemio. «In realtà – replica a distanza Paolo Franceschetti, autore di un sito sulle cure alternative esistenti – i super-potenti sono i primi a ricorrere a metodi alternativi: lo stesso Berlusconi ha evitato la chemio ed è guarito grazie alla terapia Di Bella».
«Se sei un americano, hai una possibilità su tre di avere un cancro nel corso della tua vita», scrive Michael Snyder in un post ripreso dal blog di Maurizio Blondet. «Praticamente chiunque in America conosce qualcuno che ha il cancro o che ne è già morto». Eppure, negli anni ‘40, a sviluppare il cancro era solo un americano su 16. «Deve essere accaduto qualcosa che ha provocato questa crescita esplosiva, e che induce a ritenere che il cancro sorpasserà presto le cardiopatie diventando la prima causa di morte». Secondo l’Oms, ogni anno vengono diagnosticati 14 milioni di nuovi casi nel mondo, ed è atteso un incremento del 70% nei prossimi due decenni. «Esistono davvero poche parole capaci di fare tanta paura come la parola “cancro”, e nonostante i miliardi spesi nella ricerca e nel suo progresso tecnologico, questa piaga continua ad allargarsi e a mietere vittime. Come è possibile?». Sconcertante la débacle statistica della disciplina oncologica: a differenza di ogni altro settore della medicina, questa non riesce praticamente mai a curare efficacemente i pazienti, a cui peraltro non sa diagnosticare le cause dell’insorgenza patologica (cosa che invece fa la medicina olistica, basata anche sull’analisi dell’alimentazione).
In compenso, il business del cancro va a gonfie vele: oggi, continua Snyder, in America si spende più denaro per trattare il cancro che qualunque altra malattia. Secondo la “Nbc”, solo lo scorso anno si è trattato di 100 miliardi di dollari in farmaci anti-cancro, tutti largamente inefficaci: «Mentre i prezzi delle medicine continuano a scendere costantemente, la spesa per le medicine contro i tumori hanno raggiunto un nuovo traguardo: 100 miliardi di dollari nel 2014». Un incremento di 75 miliardi di dollari in cinque anni, secondo un’indagine dell’Ims Institute for Healthcare Informatics. Cento milioni di dollari sarebbero già una cifra pazzesca, osserva Snyder, ma 100 miliardi sono mille volte quella cifra. «Non mi pare ci sia bisogno di dire che ci sono un sacco di persone, là fuori, che stanno diventando smisuratamente ricche grazie a questi trattamenti. E il costo di alcuni di essi è semplicemente assurdo. Sempre secondo la “Nbc”, due dei farmaci commercializzati più recentemente costano 12.500 dollari per un mese di terapia». Farmaci, peraltro, non risolutivi: poco più di metà dei pazienti può sperare di sopravvivere per 5 anni al massimo.
«Viviamo in una società estremamente tossica, e che lo diventa ogni giorno di più», scrive Snyder. «E una volta che hai sviluppato il cancro, ai dottori non è permesso prescrivere trattamenti “alternativi”. Quello che possono fare è prescriverti terapie che il sistema gli dice di prescriverti». Idem in Italia: i sanitari devono attenersi al protocollo standar, quello che non guarisce quasi mai nessuno e si basa, ad esempio, sulla chemio. «E’ una terapia mostruosa, che spesso uccide il paziente invece di uccidere il tumore», continua Snyder. «Molti pazienti vivono un ciclo infernale dopo l’altro, sperando che possa essere risolutivo. Avete mai parlato con qualcuno che ha vissuto questo calvario? E’ straziante». Dice il dottor Ralph Moss, autore del libro “L’industria del cancro”: «Non c’è alcuna prova che la chemioterapia prolunghi la sopravvivenza nella gran parte dei casi. E questa è la grande bugia sulla chemioterapia, che ci sia in qualche modo una correlazione tra la riduzione del tumore e l’allungamento della vita di un paziente». Allora perché gli oncologi spingono tanto per la chemio?
Secondo le analisi di Steven Levitt e Stephen Dubner, quelli di “Freakanomics”, «gli oncologi sono tra i medici più pagati, la media dei loro redditi cresce più di quella di qualsiasi altro specialista, e più della metà dei loro guadagni proviene dalla vendita e somministrazione della chemioterapia». Il loro modello di business «è differente da quello degli altri medici», scrive Snyder, «perché non è che tu puoi andare a comprarti la chemioterapia in farmacia». Negli Usa, «gli oncologi la comprano all’ingrosso, poi gonfiano il prezzo e mettono in conto alle compagnie di assicurazione». Questo profitto legalizzato sui farmaci contro il cancro è un caso unico, negli Stati Uniti. «Fanno soldi sulle terapie che dicono ti salveranno la vita. E’ un conflitto di interessi gigantesco. Ti vendono le terapie, e ti fanno pagare il privilegio di iniettartele. Non lo fa nessun altro medico». Il nostro sistema è profondamente guasto e corrotto, conclude Snyder. «Ma non cambierà niente nell’immediato futuro, perché grazie ad esso si guadagnano centinaia di miliardi di dollari».
 da: Libre Idee

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domenica 4 ottobre 2015

Europa, illusoria grande potenza azzoppata dall'euro

L’adozione dell’euro fu un’operazione molto più politica che economica: la Germania aveva la concreta possibilità di coronare il sogno della riunificazione, ma questo incontrava molte diffidenze di americani, inglesi e russi. La Francia dette la garanzia politica, nel solco di quell’asse franco tedesco che dal 1963 regge l’intera costruzione europea, ma, in  cambio chiese l’adozione della moneta unica, per un’Europa unita, pacifica e mercantilista. L’abbiamo detto molte volte: l’euro avrebbe dovuto far concorrenza al dollaro, diventare la locomotiva che avrebbe portato all’unità politica e far convergere le economie dei singoli paesi europei in un modello più o meno simile per tutti. Da questo nacque l’azzardo di una pluri-Stato che escluse dai trattati istitutivi la possibilità di recedere dal patto. La ratio era evidente: una moneta, anche se appartenente a più Stati, non è l’“Hotel del libero scambio” e la possibilità dei componenti di uscire avrebbe suggerito l’impressione di una moneta provvisoria, alla quale i mercati finanziari avrebbero attribuito scarsa credibilità. Considerazione giusta, ma più che un progetto di ingegneria monetaria; si trattò di una sorta di atto di fede che tutto sarebbe andato sempre bene.
La scelta aveva un evidente punto debole di partenza: assemblava economie troppo diverse e senza un potere centrale che redistribuisse le ricchezze per riequilibrare la compagine. Sarebbero state possibili due scelte: o stati divisi ciascuno con la propria moneta, manovrabile secondo le esigenze di ciascuno, o centralizzare stato e moneta, compensando  gli squilibri attraverso la redistribuzione. La via prescelta fu quella più a rischio: stati separati e moneta unica. E subito le condizioni del patto (debito al 60% del Pil, disavanzo di bilancio contenuto al 3% ed inflazione al 3%) vennero disattese. Di fatto, l’alternativa era: dare pieni poteri alla Bce, liquidando ogni regola democratica, o indebolire il patto di stabilità, riducendolo ad una dichiarazione di intenti. Prevalse la seconda scelta. A complicare le cose venne anche la decisione di permettere ad alcuni membri della Ue (essenzialmente il Regno Unito) di non aderire alla moneta, ma consentendogli non solo di restare  nell’Unione, ma anche di far parte della Bce.
Ne derivava un complicato intreccio fra Ue e Eurozona che si sommava alle altre difformitàdell’Unione come l’appartenenza alla Nato di alcuni ma non di altri. Si cercò di dare inizio all’Europa politica con un “trattato istitutivo” della Ue che avrebbe dovuto averle il ruolo di Costituzione: venne clamorosamente bocciata nei referendum che ne seguirono. Quella architettura barocca e incoerente non convinceva nessuno perché  rifletteva il caos concettuale che metteva insieme monarchie, repubbliche presidenziali, repubbliche parlamentari, stati federali, unitari, regionali, sistemi bipartitici e sistemi a pluralismo polarizzato, paesi di common law e paesi di tradizione codicistica. I giuristi ci misero del proprio con un fuoco artificiale di sciocchezze del tipo “diritto non statale”, “Unione non statale” e persino “Costituzione senza Stato” (che sembra lo statuto della bocciofila). L’unione era più di una alleanza ma meno di una federazione, più di una unione doganale ma meno di una confederazione, una unione monetaria di cui alcuni facevano parte e altri no, ma tutti conservavano la propria riserva aurea,  i cui componenti non perdevano la sovranità mentre l’Unione diventava un soggetto “quasi sovrano”: una “dialettica dei distinti” senza sintesi possibile.
Dopo quelle bocciature l’unione politica dell’Europa divenne solo una vuotissima espressione liturgica. L’Euro, dato il suo innegabile successo sino al 2008, restò l’unico collante. Gli europei non credevano più all’unione politica, ma ritenevano conveniente una moneta “forte” che garantiva stabilità: i paesi più deboli potevano accedere al mercato finanziario a prezzi molto bassi (che non avrebbero mai avuto da soli), i paesi forti, come la Germania, potevano approfittare della stabilità monetaria per sostenere le loro esportazioni verso i paesi del sud Europa e tutti potevano illudersi che questo stato di cose potesse continuare indefinitamente. L’Europadei banchieri aveva sepolto definitivamente l’Europapolitica. Ma lastoriaè ostinata e, anche se con ritardo, presenta sempre il conto che  è venuto con la dèbacle dei debiti sovrani di Grecia, Portogallo ecc. e il trattato che non prevede nè uscite volontarie nè allontanamenti forzati diventa un problema in più.
Il problema si pone su due piani: quello operativo immediato e quello di lungo periodo da affrontare dopo aver superato la tempesta. Allo stato attuale, il rischio evidente è quello del default di uno o più stati dell’Eurozona e, in questo caso la sopravvivenza dell’euro sarebbe a forte rischio. Ma una fine dell’Euro porterebbe con sè anche la fine della Ue, di cui resterebbero solo una serie di trattati inservibili. E se anche si trovasse il modo di far uscire un paese prima del suo default, si stabilirebbe un precedente che potrebbe essere imitato da altri e questo avrebbe conseguenze sugli interessi per i debiti degli altri partner, perché tutti i titoli diverrebbero a rischio, se i mercati dovessero avere la sensazione di una uscita della Germania dalla moneta unica, per non pagare i costi di una inflazione causata da una eventuale emissione eccessiva di liquidità. E qui riaffiorano antiche lesioni mai superate.
Berlino non ha saputo essere la capitale d’Europa, ma ha avuto la forza di impedire che potesse esserlo Parigi. Il risultato è stato una Ue che non è stata in grado di essere soggetto politico e, tantomeno, grande potenza. Barry Buzan, anni fa, riteneva Europa e Cina le uniche due grandi potenze in grado di porre una candidatura allo stato di superpotenza entro una ventina di anni, ma l’Europa si è sottratta al compito. Nei primi anni del secolo, Berlusconi, in una delle sue uscite estemporanee, propose l’ingresso della Russia nella Ue e l’allora Commissario europeo Romano Prodi bocciò l’idea con la motivazione che, in questo modo, l’Europa sarebbe diventata una superpotenza. Quello che, evidentemente era escluso programmaticamente. Ma, nel grande gioco della globalizzazione, chi non si costituisce come polo d’attrazione subisce fatalmente l’attrazione degli altri e rischia lo smembramento. L’Europa di oggi è in questa condizione, almeno sinché non riprenderà un credibile progetto di unificazione politica e militare del continente indipendente da ogni alleanza.

Aldo Giannuli, “La grande potenza mancata: l’Europa”, dal blog di Giannuli dell’8 settembre 2015

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venerdì 2 ottobre 2015

Ritorno al medioevo con Renzi l’infame: la salute riservata soltanto ai ricchi

Che cosa rende una visita, un esame clinico, inutile? Il fatto che il paziente non abbia nulla. Che cosa lo rende particolarmente inutile? Il fatto che questo esame sia stato prescritto solo in via precauzionale, magari proprio solo per escludere il rischio malattia e tranquillizzare il paziente. Questi esami inutili, se passa il provvedimento legislativo annunciato dal governo, non si potranno più fare, pena sanzioni contro il medico che li prescrive. Quindi saranno utili solo gli esami clinici che riscontrino effettive patologie, magari irrecuperabili. Ci rendiamo conto della mostruosità di questa misura, naturalmente giustificata con la necessità del rigore nei conti dello Stato? Naturalmente i soliti pifferai liberisti spiegheranno che si tratta di eliminare sprechi, definendo standard validi per tutti, senza danni per nessuno. Mi pare che abbiano annunciato come esempio che gli esami sul colesterolo dovrebbero farsi ogni cinque anni. Immaginiamo una persona che improvvisamente abbia sintomi di malanni che il medico giudichi dovuti a cause di scompensi nel metabolismo, da sottoporre ad analisi. Se il paziente ha oltrepassato i tempi standard dall’ultimo controllo il medico potrà fare la prescrizione, se invece così non è dovrà aspettare. Oppure rischiare di finire sotto procedura di controllo e sanzione.
Si dice che in questo modo si risparmieranno 13 miliardi che potranno essere spesi meglio. Tutti i tagli alla spesa pubblica son giustificati così da sempre, e da sempre sappiamo che questo non è vero. La sostanza è che si ridurrà la prevenzione sulle malattie, solo i ricchi potranno continuare a permettersela mentre i poveri si ammaleranno e moriranno prima. Ma forse questo è proprio ciò che si vuole. Il sistema pensionistico dalla riforma Dini si fonda sull’aspettativa di vita. Più questa statisticamente sale, più si deve andare in pensione ad età elevate. Per questo le tabelle già prevedono la pensione a 70 anni di età nei prossimi decenni. Immaginiamo allora che i tagli alla sanità blocchino o addirittura abbassino questa aspettativa di vita. Sarebbe un doppio guadagno per le casse dello Stato, da un lato risparmi sulla spesa sanitaria, dall’altro su quella pensionistica perché pur andando in pensione più tardi si morirebbe prima. Tempo fa una giornalista televisiva parlando del sistema pensionistico si lasciò scappare che i costi crescevano perché “purtroppo” si viveva più a lungo. Ecco, con quel purtroppo la giornalista era in perfetta sintonia con le intenzioni dei governanti liberisti.
I medici sono giustamente in rivolta contro questa legge, perché verrebbero sottoposti ad uno standard di regole e comportamenti di modello aziendalistico. È evidente infatti anche in questa “riforma” il modello Marchionne, il nume ispiratore a cui Renzi vorrebbe fare un monumento. Come nella scuola con i presidi caporali, anche nella sanità ci saranno strutture e poteri burocratici che avranno il compito di decidere sui comportamenti. Il modello aziendale fondato sul profitto è quello che da tempo si sta imponendo nei servizi pubblici, in questo modo trasformando le persone ed i loro diritti costituzionali in oggetti di mercato. Ancora più infame è poi la partita di scambio che viene offerta ai medici per compensarli della distruzione della loro libertà. Il governo intende impedire le cause dei cittadini per malasanità. Così come ha fatto con il decreto Ilva, che ha garantito impunità ai manager che inquinano nell’esercizio delle loro funzioni, il governo offre la stessa protezione ai medici. I pazienti saranno meno immuni da malattie gravi, ma i medici verranno immunizzati dalle cause dei pazienti.
L’Italia è il paese di Cesare Beccaria, che alla cultura medioevale contrappose quella illuminista delle pene: meglio un colpevole libero che un innocente in prigione. Con lo stato sociale questo principio di civiltà si era esteso ai diritti sociali. Meglio spendere 13 miliardi in visite anche per chi non ne ha bisogno, che negare le cure a chi invece ne necessita. Ora con le politiche di austerità il governo abbandona i principi illuministi per tornare a quelli medioevali, meglio che un malato muoia prima piuttosto che spendere dei soldi in più. L’autorità pubblica ha così potere di vita e di morte e il principio che la ispira è quello del mercato, rispetto alla cui suprema autorità, come nel Medio Evo, le persone normali non hanno più diritti personali indisponibili. Quella dell’austerità è prima di tutto una cultura di morte.

Giorgio Cremaschi, “La sanità modello Marchionne”, da “Micromega” del 24 settembre 2015
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