È tuttavia necessario tentare preventivamente il recupero del credito attraverso l’esecuzione forzata
Come noto, presso l’INPS è istituito un
apposito fondo che garantisce il lavoratore che abbia diritto al T.F.R. dal
mancato pagamento dello stesso da parte del datore di lavoro.
Non altrettanto noto, però, è che tale
fondo opera non solo in caso di insolvenza dovuta a fallimento del datore di
lavoro, ma anche laddove la dichiarazione di fallimento non sia
intervenuta.
A chiarirlo per la prima volta è stata la sentenza
della Corte di cassazione numero 7595 del primo aprile 2011.
Ciò con la specificazione che, in ogni
caso, è necessario preventivamente tentare di soddisfare il credito
attraverso l’esecuzione forzata e che può ricorrersi al Fondo solo
laddove tale procedura sia risultata insufficiente.
Più recentemente il principio è stato
ribadito dalla sentenza della Cassazione numero 15369 del 4 luglio 2014 che
ha confermato che l’insolvenza del datore di lavoro in danno del dipendente
che, cessato il proprio rapporto, abbia diritto al T.F.R. è coperta dal Fondo
di garanzia anche se tecnicamente non sia stato dichiarato il suo fallimento.
Ma è con la sentenza numero 1607
del 28 gennaio 2015 che i giudici di legittimità hanno definitivamente consacrato
il loro orientamento, stabilendo che: “ai fini della tutela prevista
dalla legge n. 297 del 1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del TFR,
in caso di insolvenza del datore di lavoro, il lavoratore può conseguire le
prestazioni del Fondo di garanzia presso l'INPS, anche se il datore di lavoro
non sia in concreto assoggettato a fallimento (in relazione anche all'ipotesi
di esiguità del credito azionato), essendo sufficiente che lo stesso lavoratore
abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che
risultino altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni
aggredibili con l'azione esecutiva”.
Avv. Valeria Zeppilli
(www.StudioCataldi.it)
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